La pandemia.
Sfide nuove per la liturgia – più domande che risposte
Nota di Markus Tymister
La situazione che si è creata con la pandemia causata dal coronavirus, sta attualmente esercitando un influsso notevole sulla Chiesa, la sua vita e la sua liturgia. La ecclesia è nel profondo del suo essere riunione ma in molti paesi del mondo attualmente deve rinunciare a tutte le sue assemblee e così anche alla celebrazione dell’eucaristia con la partecipazione dei fedeli. Molti vescovi hanno perciò sollecitato i loro presbiteri a celebrare l’eucaristia da soli e “a nome del popolo”. Contemporaneamente assistiamo a un aumento notevole della trasmissione di celebrazioni eucaristiche in streaming via internet e sui social media. Oltre alla s. Messa si può assistere in remoto ad adorazioni eucaristiche e altre celebrazioni anche se queste ultime in misura ridotta. La liturgia delle ore sembra essere quasi assente sia nelle trasmissioni sia nei sussidi per la preghiera in casa. Un’indagine approfondita rimane ancora da fare, anche se la risposta della Chiesa alla crisi attuale, dal punto di vista liturgico, sembra piuttosto di carattere devozionale.
Ci troviamo in una situazione assolutamente nuova nella storia della Chiesa: non è la pressione di una persecuzione che rende difficile o impossibile il raduno liturgico ma la Chiesa, proprio perché è parte responsabile della società, deve spontaneamente rinunciare a tutte le sue riunioni per contribuire a minimizzare il pericolo di contagio. Dopo più di un mese e mezzo di divieto assoluto di liturgie pubbliche, in alcuni paesi la Chiesa sta cercando il dialogo con i responsabili dei governi per trovare il modo di riprendere la celebrazione pubblica dei sacramenti seppure nel rispetto di misure sanitarie incisive per evitare contagi.
Evidentemente anche la Chiesa e la sua liturgia sono state colte di sorpresa dalla pandemia e dalle sue ripercussioni. Lo stesso vale per la riflessione teologica e liturgica. Nessuno si poteva aspettare una tale situazione, ma d’altra parte un buon fondamento teologico-liturgico per la celebrazione dell’eucaristia senz’altro esiste. Questo fondamento si condensa già nel n. 48 della Costituzione sulla liturgia del Concilio Vaticano II:
Itaque Ecclesia sollicitas curas eo intendit ne christifideles huic fidei mysterio tamquam extranei vel muti spectatores intersint, sed per ritus et preces id bene intellegentes, sacram actionem conscie, pie et actuose participent, verbo Dei instituantur, mensa Corporis Domini reficiantur, gratias Deo agant, immaculatam hostiam, non tantum per sacerdotis manus, sed etiam una cum ipso offerentes, seipsos offerre discant, et de die in diem consummentur, Christo Mediatore, in unitatem cum Deo et inter se, ut sit tandem Deus omnia in omnibus.
Contemporaneamente alla partecipazione, che è definita come conscia, pia e actuosa, e all’essere formati dalla parola di Dio, i fedeli devono potersi nutrire alla mensa del Corpo del Signore e rendere grazie offrendo la vittima senza macchia insieme al sacerdote. Tutto ciò sembra imprescindibile dalla presenza fisica dei fedeli. La condivisione del pane eucaristico (e del calice) è parte costitutiva della celebrazione. D’altra parte, nel Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri, si legge al n. 13 con riferimento all’enciclica Mysterium fidei di Paolo VI:
In mysterio Sacrificii Eucharistici, in quo munus suum praecipuum sacerdotes adimplent, opus nostrae redemptionis continuo exercetur, et ideo enixe commendatur eius celebratio cotidiana, quae quidem etiam si praesentia fidelium haberi non possit, actus est Christi et Ecclesiae.
L’impossibilità di celebrazione pubblica dell’eucaristia fa sorgere in modo pressante la questione del rapporto tra i due testi citati. Mentre i fedeli sono costretti involontariamente a un digiuno eucaristico, i vescovi e i presbiteri continuano a nutrirsi alla mensa del Signore. Certamente non può essere questa la situazione che i padri conciliari avevano davanti agli occhi quando discutevano quegli scritti.
Si può arrivare a pensare che il fondamento teologico ci sia, ma che le conseguenze ancora non siano giunte alla pastorale. Molti fedeli, in questo periodo, non solo guardano in remoto le varie trasmissioni delle celebrazioni eucaristiche ma, stando alla loro parola, vi partecipano e ciò anche attivamente. Come è da inquadrare teologicamente una tale partecipazione?
Già in queste poche riflessioni si trovano parecchi temi che devono essere ancora approfonditi dal punto di vista storico, dogmatico, pastorale, canonistico, morale e, soprattutto, liturgico. Una tale riflessione potrebbe iniziare dalla questione della sostituzione: in che senso, vescovi e presbiteri possono celebrare eucaristia da soli “a nome” del popolo loro affidato? Si pongono poi questioni di partecipazione attiva alla liturgia: qual è il significato e il valore di una partecipazione “virtuale” a una celebrazione trasmessa in tempo reale via internet o in televisione? Ugualmente sorgono le questioni della liturgia domestica, della liturgia in famiglia, ma si apre anche il campo della liturgia per chi vive da solo. Quale è il fondamento storico e il senso teologico-liturgico della “comunione spirituale” che in diversi sussidi si propone ai fedeli come sostituzione della comunione eucaristica? Come si riesce a continuare il lavoro pastorale nelle nostre parrocchie, quando non c’è possibilità di riunirsi?
Le celebrazioni sacramentali non possono mai essere strade a senso unico. Il dialogo tra Dio e l’uomo si esprime nel dialogo liturgico. Ci può essere liturgia, quando questo dialogo non è possibile? Si può eventualmente rendere possibile un dialogo “a distanza”? Accanto alla s. Messa si solleva anche la questione degli altri sacramenti, soprattutto di quello della riconciliazione.
A livello teologico e pratico è da notare senz’altro un’evoluzione. Mentre il teologo tedesco Karl Rahner in un articolo pubblicato nel 1953 si pronuncia con ottimi argomenti contrario alla trasmissione della Messa in televisione, il Concilio Vaticano II, 10 anni più tardi può dire:
Transmissiones actionum sacrarum ope radiophonica et televisifica, praesertim si agatur de Sacro faciendo, discrete ac decore fiant, ductu et sponsione personae idoneae, ad hoc munus ab Episcopis destinatae.
I padri conciliari evidentemente non conoscevano ancora le possibilità di internet e dei social media. Attualmente noi abbiamo la possibilità di trasmettere qualunque cosa da parte di chiunque possieda un minimo di conoscenza dei nuovi mezzi di comunicazione senza che sia necessario passare per «la direzione di una persona competente destinata a tale ufficio dai vescovi». Molti dei fedeli preferiscono partecipare “virtualmente” alla messa della loro parrocchia, anche se non viene celebrata nel migliore dei modi, piuttosto che a una trasmissione televisiva ben curata. Già prima di questa crisi l’offerta di forme di preghiera alternative sui social media era enorme. La riflessione teologico-liturgica su queste possibilità mediatiche, però, è ancora agli inizi, come anche un approfondimento delle prospettive per uscire da una situazione di cui attualmente nessuno può prevedere il termine. Ancora non possiamo immaginare quali saranno le ripercussioni sulla vita liturgica della Chiesa dopo la fine della crisi. Accenniamo soltanto al pericolo che la partecipazione “virtuale” per molti diventi la normalità anche dopo la pandemia, e alla situazione attuale di chi non dispone di internet e rimane così tagliato fuori dalle molte iniziative “virtuali”. Già adesso le piattaforme come YouTube sono sature di registrazioni di celebrazioni che dopo la diretta non vengono cancellate e che in differita si prestano soltanto a un’analisi critica da parte degli interessati. Queste liturgie morte non sono affatto di aiuto alla devozione personale, e sembrano piuttosto prese da un reparto di patologia di un ospedale liturgico. L’hodie della liturgia non può essere né anticipato con una Messa preregistrata, né prolungato conservandone una registrazione.
Guardando già adesso alle misure contro i contagi che, probabilmente per parecchio tempo, saranno applicate anche alla celebrazione della liturgia (ipoteticamente si parla di mascherine, guanti di plastica, distanza di almeno 1,5 m. tra i partecipanti, distribuzione della comunione senza dialogo, messe senza canto, limitazioni del numero di partecipanti e prenotazioni obbligatorie con controllo all’ingresso in chiesa), ci si chiede se in tali circostanze saranno possibili celebrazioni decorose. Forse è questa l’occasione in cui la Chiesa deve ammettere non solo in teoria ma anche nella prassi che la nostra liturgia è anche quella dell’amore per il prossimo e del servizio sociale. L’azione pastorale della Chiesa va ben oltre la celebrazione dei sacramenti.
Fatto sta che in una situazione di crisi non si può cambiare mentalità, né quella dei fedeli laici né quella dei presbiteri e dei vescovi. Però una volta che tutto sarà finito, sarà necessaria una approfondita riflessione teologico-liturgica da farsi con tutta calma e senza polemiche. Ed è proprio nell’intento di accogliere queste sfide, che il Pontificio Istituto Liturgico ha deciso di dedicare il XII° Congresso internazionale di Liturgia, previsto dal 5 al 7 maggio 2021, al tema della liturgia “virtuale”, riproponendosi in tale sede di analizzare sfide, possibilità e limiti delle differenti tipologie di partecipazione, anche “virtuale” alle celebrazioni che richiederebbero una presenza fisica, e di riflettere sulle possibilità di una “liturgia a distanza” e sulla partecipazione per ritus et preces al mistero salvifico di Cristo. Il Congresso oltre alla partecipazione in loco, prevederà anche la possibilità di seguirne i lavori online.
Nei prossimi due fascicoli della nostra rivista, la redazione vuole riservare debito spazio per pubblicazioni sull’argomento della liturgia “virtuale”. Pertanto si rivolge un invito alla comunità scientifica e a tutti coloro che sono interessati all’argomento di accogliere la sfida e di preparare il Congresso con contributi e note sulle possibilità e i limiti della liturgia al tempo del coronavirus.